T E R R E  A N I M A L I  U O M I N I  -  Cosmografie di Gino Covili
TERRE ANIMALI UOMINI - cosmografie di Gino Covili

T E R R E   A N I M A L I   U O M I N I
cosmografie di Gino Covili
di Matteo Meschiari
COLLANA DI LETTERE E ARTI 4
per le edizioni di COVILIARTE
Ci sono terre imbastite come scampoli di tessuto. Lanose, irsute, piegate, ondulate. Ci sono rocce che sembrano volti, animali, vertebre, muscoli. La luna di mezzanotte ci gira attorno, un'alba rosa, il crepuscolo ocra le bagna, rotolandoci sopra. Ci sono alberi. Alberi solitari. Alberi allineati. Alberi che piegano lo spazio e lo tendono tra i rami. Poi ci sono le fattorie, i borghi abbandonati, i cimiteri dismessi. E viottoli, stradelli, tratturi. A volte ci sono anche uomini, quasi sempre di spalle, che tornano a casa dal mercato, da luoghi uguali a quelli che incontreranno, uomini che si aggrappano a un bastone, a una cesta, a una corda stretta al collo di un animale. E tutto è presente allo stesso modo, sullo stesso piano dello sguardo e del senso: terre, rocce, alberi, case, animali, vestiti, persone.


È come cadere in una torbiera di colori. E i muscoli della torbiera sono quelli di una battaglia tra animali. Sei lupi, un cinghiale, che ti risucchiamo come melma: lo stivale resta lì, mentre il piede della vista rimbalza nudo fuori dal quadro. Dal vivo e da vicino l'olio prende una luce frontale, come se irradiasse da chi guarda, ma le migliaia di pennellate fini, venute dopo, cercano luce dai lati, con un effetto radente che fa rilievo senza ingrassare la tela. Come l'acqua di una torbiera, appunto, in cui si vede il fondale ma anche i disegni di metano in superfice. E allora le erbe diventano setole drizzate, le pellicce erba sotto i piedi; diedri di roccia si contraggono nello sforzo, i muscoli delle zampe si induriscono solcati come rocce.


Tre giganti alla fine del mondo: Il potatore, il Cacciatore a cavallo, Il pastore. Residui di un passato preagricolo, evitano le fattorie, abitano i margini, dove il selvatico è norma senza norma. Anche i figli dei giganti, nei villaggi, e le stirpi minori, calpestano terreni irregolari. Nessuno, neanche i bambini, ha tratti ordinari. I volti sono case abbandonate. La carne del mondo, con la sua grana indigesta, non fa eccezione per l'uomo. Ma il potatore, il cacciatore e il pastore conoscono i venti e le notti, riempiono di alluvioni ed eclissi il loro carniere di leggende, diventano portatori ignari di una ritualità del limite, antitetica e ostile a quella agreste e urbana. Il loro momento è sospeso, vive nei lampi di tramonto, di alba, di tempesta, in un crepuscolo pietrificato senza rumori e senza dei. I tre giganti ci stanno davanti, insormontabili, ma fanno ancora la spola tra il qui, dove li stiamo incontrando, e un altrove che forse ci riguarda. Le terre che hanno alle spalle non sono le nostre, ed è improbabile che ci lascino passare.
Ma senza di loro resteremmo dove siamo. Che cosa vogliono da noi? Che cosa vogliamo sapere?
Un vento senza risposte soffia da nord.

Matteo Meschiari