E L E M E N T I  B I O G R A F I C I  -  di Vico Faggi
Gino Covili con Vico Faggi
Una biografia di Covili? Ma l'ha scritta lui stesso con i suoi quadri, i suoi disegni, nei quali ha investito i suoi pensieri e sentimenti, le sue esperienze, cioè la sua vita interiore, che è quella che conta, in definitiva, trattandosi di un artista, di un uomo cui è dato di tradurre in figure la sua concezione del mondo e dell'esistenza, i suoi ricordi e fantasmi. Ma già in questo parlare di esperienze, nel riferirmi al rapporto tra le stesse e le opere, mi accorgo di aver dischiuso la porta a una possibilità di biografia, ove si intenda la medesima come notizia sulle tappe dell'esistenza che l'artista ha percorso (per poi restituire nell'opera) sin da quando ha mosso i primi passi sulla terra. L'infanzia, dunque. Faccio appello alla memoria e questa mi porta dinanzi, viva e tangibile, l'immagine di un ragazzo che insegue il pallone, si ingobbisce nel calciarlo, lo colpisce col piede sinistro mettendoci tutta la sua rabbia. Siamo sul prato dell'asilo, nei suoi saliscendi irregolari, in un pomeriggio d'estate, a Pavullo.
A vederlo, Gino è sui dodici, tredici anni. Il gioco del calcio è per noi ragazzi la quintessenza del divertimento, lo svago senza confronti che ci assorbe completamente, ci estrania da tutto il resto... Il resto e il contesto, poiché corrono gli anni 1930-1931, è l'Italia nella morsa della crisi economica, sotto le verghe non metaforiche del fascismo. Nato nel 1918, il 21 marzo, Covili attraverserà, dapprima inconsapevole, poi pagando di persona, tutto l'arco della dittatura. Pagherà con sette anni di servizio militare e lotta partigiana, come prima aveva pagato, durante l'infanzia e l'adolescenza, in termini di ristrettezze e privazioni, poiché la sorte l'aveva fatto nascere in una famiglia che diremo di modestissima condizione, per usare un eufemismo. Il padre è lontano, in Francia, e ancora, formalmente, non l'ha riconosciuto. Alle ristrettezze si unisce un sentimento molesto che talvolta lo prende e che forse può definirsi umiliazione, o senso di inferiorità, nei confronti degli altri ragazzi che crescono sotto l'ala protettiva del genitore. È presto avviato al lavoro, dopo la quinta elementare, e fa il garzone di barbiere, dapprima, poi l'apprendista in un pastificio artigiano. Il servizio militare lo porta, come aviere, a Milano, Torino, in provincia di Cuneo. A Milano i bombardamenti aerei lo costringono a scendere nei rifugi dove il suo occhio si posa, commosso, sulle madri che stringono al petto i bambini. È uno spettacolo che Covili non cesserà di portarsi dietro: la maternità sarà uno dei temi della sua pittura. Una maternità non edulcorata... Otto settembre, l'esercito si dissolve come neve al sole, i tedeschi fanno grandi retate, spediscono i prigionieri in Germania, ammassandoli nei vagoni piombati.
Gino Covili a soldato
Gino Covili con la moglie Albertina
Covili trova rifugio presso una famiglia di contadini del Cuneese, vede e tocca con mano quanto possano essere generosi, e coraggiosi, gli uomini. Per offrire un letto a lui e a un altro soldato, i contadini vanno a dormire nel fienile; e dividono con loro lo scarso pane...Passa meno di un mese e Covili riesce a far ritorno a Pavullo, grazie alla fantasia e al fegato di un ferroviere che lo introduce in un vagone postale e lo fa passare per impiegato delle poste. Sotto lo sguardo dei tedeschi, Covili carica e scarica plichi, di stazione in stazione, sino a quella sospiratissima di Modena. Viene la stagione della Resistenza, della lotta partigiana, che Covili vive nelle file dei garibaldini frignanesi, sotto la bandiera di Armando. I ragazzi che giocavano al calcio si ritrovano, impegnati ora in ben diverso gioco, tra attacchi e rastrellamenti. Tempo di lacerazione e di speranza. Covili ne assorbe i fermenti, ne tesaurizza i ricordi, ne fa suo lo spirito in ciò che è promessa di riscatto, scommessa su un futuro di umana solidarietà, di civile progresso.
Sono speranze, ricordi, aspirazioni che lo accompagnano negli anni del dopoguerra, in cui deve affrontare, prima da solo, poi con la moglie Albertina e i figli, la lotta per il pane. Il lavoro è incerto, il nutrimento scarso. Capita che i genitori, per sfamare i figli, si privino della cena. La vita è questa e bisogna tener duro. Fare il manovale alla Bonifica, giù verso il fiume Panaro, vuol dire partire presto in bicicletta e poi sgobbare sotto il sole, estrarre dal greto i sassi e poi caricarli sul camion. Ci mette tutto il suo orgoglio, Covili, non vuol cedere, e ci riesce, ma la sera, ritornato a casa, è così stanco che non riesce a toccare cibo. Sono i momenti più aspri, più ingrati della sua vita. Dolgono le ossa e i muscoli, il morale è depresso. Ma la sorte sta per mutare corso, finalmente. E a questo punto occorre dire che si annunciano, nella vita di Covili, dico nella vita dell'uomo e del pittore, almeno due date importanti, divise tra loro da un arco di diciannove anni. Nel 1950 Covili viene assunto come bidello delle scuole di Pavullo: è un lavoro modesto, un modestissimo impiego, che tuttavia si rivelerà determinante...
Gino Covili, bidello, con allievi ed insegnanti del Liceo Scientifico di Pavullo
Liberando energie, concedendo tempo, dà a Covili il modo di ritornare alla sua antica passione, il disegno, quello scorrere della matita sulla carta che sin dall'infanzia lo aveva attratto e affascinato. La matita, il pennello. Ciò che si deve notare è che Covili non ha mai pensato alla pittura come a un semplice svago. Non si è mai sentito pittore della domenica. Disegnare, dipingere vuole dire lavorare, provare, lottare per progredire verso la conquista di qualcosa che diremo, per semplificare, forma. E qui c'è la prova della presenza di una vocazione che nessun ostacolo è riuscito a soffocare, a sviare. Dà frutti, questo lavoro. I progressi sono continui, sicuri. Si arriva a una mostra, la prima, che avviene nel 1964, a Bologna, dove Covili viene presentato da Mario Ricci. E c'è infine quel 1969 che abbiamo indicato come data determinante. E determinante, appunto, in quel volgere di tempo, è la mostra alla Galleria Borgogna di Milano, presentata da Mario De Micheli. Esporre in quella città, in quella sede, significava affrontare un rischio. Si può parlare, senza retorica, di prova del fuoco. Covili si muove con trepidazione, ma anche con fiducia. Sa che sono opere, la sue, non banali; sa che in esse è impresso, come un marchio a fuoco, il segno della sua personalità; sa bene, infine, che De Micheli non è critico dai facili entusiasmi, dalle corrive garanzie. La mostra è un successo. I visitatori consentono, i collezionisti si fanno avanti. La pittura per Covili può finalmente essere una professione. Val la pena di dedicarsi a essa a tempo pieno, impiegandovi tutte le energie. E così sarà. Covili diviene pittore e soltanto pittore, sulla strada di una notorietà che rapidamente si diffonde, allarga, approfondisce. La bibliografia parla e a essa non ci resta che rimandare, di nome in nome, di pagina in pagina. Ci sono incontri, da pari a pari, con artisti di fama: Sebastian Matta, Gianni Dova, Agenore Fabbri, Pietro Cascella. Con un poeta come Rafael Alberti; con uno scrittore come Cesare Zavattini; con un maestro della cinematografia, più avanti, come Vittorio Storaro. Alla Nuova Pesa di Roma, nel 1973, Carlo Levi si sofferma a lungo dinanzi ai quadri, applaude, definisce Covili come un espressionista. E la definizione è opportuna, perché viene a smentire l'etichetta di naïf che minacciava di restar appiccicata, per equivoco, a Covili. L'equivoco di scambiare per naïveté ciò che è pura forza popolaresca, genuina passione per uomini e paesi della terra natale. Aveva contribuito all'equivoco la precedente mostra romana, sempre alla Nuova Pesa, nel 1971, ove le opere di Covili erano state esposte insieme a quelle di Ligabue. Ma Covili già nel 1972, nel rendere omaggio a Ligabue, dal medesimo prende le distanze: ammirazione, rispetto, certamente, ma ciascuno dalla sua parte, secondo la propria visione, il proprio mondo poetico.
Gino Covili con Luchino Visconti
Gino Covili con Ugo Tognazzi
Gino Covili con Rossella Falk e Romolo Valli
Gino Covili con Gillo Pontecorvo
Apro una parentesi: la mostra Covili-Ligabue ebbe grande risonanza, dischiuse a Covili porte e strade. Alla vernice intervennero uomini del teatro, del cinema, quali Luchino Visconti, Ugo Tognazzi, Romolo Valli, Rossella Falk, Ferruccio De Ceresa, Gillo Pontecorvo. Il tutto-Roma dello spettacolo. E Covili, per nulla intimorito, a far gli onori di casa. Laconico ma sicuro di sé, consapevole del valore delle opere che aveva portato da Pavullo e che ora, dalle pareti della galleria, lanciavano ai visitatori il loro virile messaggio. Non seguiremo passo per passo l'attività creativa di Covili. Limitiamoci a qualche cenno. Ci sono anni particolarmente felici, nei quali sono nati, in stretta concatenazione, diversi capolavori. Pensiamo in specie al 1971, al 1972. Che biennio straordinario! È l'epoca del Cacciatore sul cavallo bianco, della Frana, della Morte del patriarca, della Monta, della Lotta, del Potatore, e poi del citato Omaggio a Ligabue, del Pastore, della Prima neve, del Cacciatore a cavallo, dell'inquietante Eclisse, degli Emigranti. Opere tutte di vaste dimensioni, percorse da uno slancio vitale, da uno strenuo confluire di sensazioni naturalistiche e deformazioni visionarie: opere che trovano il loro momento unitario, e la loro coerenza, e forza d'urto, in un appassionato sentimento della condizione umana, quella condizione umana che Covili ha imparato a conoscere (a soffrire) per diretta esperienza e non per mediazioni letterarie. I gialli e i rossi infuocati testimoniano... Covili si trova a suo agio nelle piccole come nelle grandi dimensioni della tela, ma certo sono le ampie dimensioni che più lo affascinano, lo provocano a un confronto teso. Lo spazio bianco deve trovare la sua fonte di vita nelle figure che vi si accampano, si proiettano verso lo spettatore, come nelle linee avvolgenti del paesaggio che si umanizza nei suoi irti cespugli, nei suoi precipiti calanchi, nei suoi crinali metamorfici. L'ultima, per ora, delle grandi tele è la Processione, che Covili iniziò nell'estate del 1982 e portò a termine, dopo varie soste e riprese, nel 1985. Nella sua vasta superficie (due metri e mezzo per quattro) si snoda, lungo un paesaggio che alterna aridi precipizi a tracce dell'umana fatica, il corteo dei fedeli, che pregando ascendono verso l'antica chiesa sulla vetta. È un momento solenne della vita dei contadini, i quali custodiscono la fede tradizionale che ha confortato i loro padri negli anni delle privazioni. La vita grama, l'aspra fatica, la solitudine, lo scoramento: non possono non lasciar traccia nell'esistenza degli uomini. E anche di questo Covili ha saputo render testimonianza. La serie degli Esclusi, realizzata tra il 1973 e il 1977, con sentimento fraterno ma con fermissima mano, costituisce uno dei punti più amari, più allarmanti, ma anche più poetici, dell'iconografia del pittore. Cerco di tirare le somme di questo breve schizzo biografico.
Gino Covili con Mario De Micheli, Carlo Federico Teodoro e il Sindaco di Modena Germano Bulgarelli all'inaugurazione della mostra al Palazzo dei Musei - Modena, 1974
Gino Covili con il gallerista Mario Marescalchi all'inaugurazione della mostra alla Galleria Marescalchi - Bologna, 1974/75
Gino Covili con il Sindaco di Bologna Renato Zangheri all'inaugurazione della mostra al Palazzo Re Enzo - Bologna, 1979
Franco Basaglia e Ivo Lisi in occasione dell'inaugurazione della mostra "Gli Esclusi" al Palazzo Guillichini - Arezzo, 1979
Covili è nato a Pavullo e nel Frignano è sempre rimasto, salvo la stagione per il servizio militare. Ci sono stati, nel tempo che ha seguito il suo affermarsi, dei viaggi in Sardegna, donde ha tratto immagini di luoghi e personaggi (lande irte e petrose, pastori antichi); in Russia, dove è stato accolto con gli onori che si debbono a un maestro. Il legame che sussiste tra Covili e la sua terra, la sua gente, la sua tradizione, è profondo e abbraccia costumi e modi e lingua e credenze. Di tutto questo egli si è fatto epico cantore, memore del passato, col suo carico di sofferenza e di lotta, e della transizione dal passato al presente, con quel che si è guadagnato e quel che si è perduto per via. Fedele ai valori della gente che ha penato e sudato sui solchi avari della terra, Covili ne ha raccontato la vita, mettendone in primo piano i sentimenti fondamentali, quelli che nascono di fronte all'amore, alla maternità, all'emigrazione, all'esclusione, alla morte. L'Emilia ha reso pubblico riconoscimento al lavoro di Covili, al suo valore e significato; e a ciò erano rivolte le grandi esposizioni di Modena (1974), Bologna (1979), Pavullo nel Frignano (1985). L'affluenza dei visitatori, insolita per questo tipo di manifestazioni, e l'interesse suscitato, le discussioni, i perduranti echi hanno attestato la ricchezza e la pregnanza del rapporto che sussiste tra l'artista e i suoi compagni di viaggio: Covili insomma ha voluto farsi capire e ha raggiunto lo scopo, poiché aveva qualcosa da trasmettere, qualcosa che urgeva per essere trasmesso, toccando nel vivo la sfera dell'umano, senz'ombra di solipsismo o narcisismo. L'arte non ha soste. Raggiunta la soglia degli ottanta, Covili guarda con serena soddisfazione, e nessuna supponenza, agli anni trascorsi, al lavoro svolto, alla strada compiuta, alle difficoltà incontrate e superate. Il suo pennello non riposa, anche se ora la sua attività è più distaccata e pausata. Sa attendere, Covili: l'attesa e la riflessione fanno maturare i progetti delle opere, e non importa se la maturazione può sembrare lenta, l'essenziale è che il dipingere si ponga sotto il segno di una convinzione non effimera. Gli interessa, tra il 1988 e il 1990, il paesaggio, il paesaggio del Frignano (e, in qualche momento, della Sardegna contadina e pastorale): tra realtà e ricordo, tra verità e immaginazione. Gli parla, il paesaggio, perché entro i confini del suo orizzonte gli uomini hanno lavorato, sofferto, combattuto, amato. La terra porta in sé, nelle sue viscere, nelle sue concrezioni, una vita che, essendo intrisa di un retaggio storico e individuale, di memorie e di sogni, possiede la virtù di consolare delle inevitabili delusioni che vengono dalla società.
Gino Covili con il Presidente della Camera dei deputati, On. Nilde Jotti in occasione della presentazione dell'opera "La trebbiatura" al Molino di Ganaceto - Modena, 1984
Gino Covili con Vico Faggi, il Sindaco di Pavullo Giampaolo Lenzini ed il Ministro di Grazia e Giustizia Mino Martinazzoli per l'inaugurazione della mostra al Palazzo Ducale - Pavullo, 1985
Gino Covili con Riccardo Cucciolla e Luciano Luisi per la presentazione del libro d'arte "Nei solchi del Frignano" - Pavullo, 1985
Gino Covili con Enzo Biagi in occasione del Premio Giornalistico - Modena, 1985
Ma seguiamo attentamente il lavoro che il pittore ha svolto sul paesaggio. Direi che agisce, qui, una duplice visione: ampia dall'alto e ravvicinata, minutissima, lenticolare. Sintesi e analisi, aspirazione a cogliere il tutto e ansia di afferrare ogni minimo segno naturale. Lo sguardo avido e amorevole insieme decifra le tracce che affiorano dalla terra, insegue i filamenti più sottili, il raggrumarsi della vita vegetale, il suo ostinato radicarsi, e crescere, e durare, tra roccia e roccia, nei calanchi, nell'arsura della siccità. E come frutto del duplice approccio, ecco che sulla tela il paesaggio si dispiega nella vastità dei suoi accordi delicati di colore, nella vitalità minimale ma indomabile dei cespugli, dei fili d'erba, delle bacche, nel contrasto tra pietre e vegetazioni: che è lotta, lezioni di tenacia, di forza interiore. E c'è il momento, sospeso, dell'incanto, della suggestione notturna. La luna bagna il paesaggio, indugia col suo tenue lucore sulle cime degli alberi, sui tetti, sulle zolle, imprimendo alla visione notturna una visione fiabesca, sospesa e presaga. Covili sa cogliere, e apprezzare, e far vivere sulla tela, anche questi momenti che stanno tra l'idillio e il dramma, tra realtà e mistero. L'esperienza vissuta, e vissuta in tante contingenze, ha dato all'artista saggezza e tolleranza, ma non gli ha tolto, per fortuna, il piacere di rischiare, tentare, sperimentare alla ricerca di nuovi temi, di nuove soluzioni. La sua lunga pazienza, unita alla sua volontà di puntare sul nuovo, gli ha concesso un quadro da lungo tempo desiderato e meditato: il Carnevale, cioè la raffigurazione dell'umile festa frignanese, popolare e colorita, antica e campagnola. Il quadro è chiuso nella sua struttura circolare, a cerchi concentrici, quali si offrono a una visione che cade dall'alto.
Gino Covili con Erio Amidei, Vladimiro Covili, Vittorio Storaro, Norman stevens e Umberto Pagliacci in occasione della mostra alla Rocca Paolina - Perugia, 1990
C'è movimento vorticoso, colori squillanti che a distanza si strizzano l'occhio, ci sono dinamismo e vitalità, molteplicità di maschere e travestimenti nell'universo mobile e unitario della festa che traduce un'esplosione di vita popolare. L'anno 1990 porta con sé due eventi che contano nell'iter artistico di Covili, a partire dalla grande mostra riassuntiva di Perugia, "La terra dell'uomo": una ricapitolazione esaustiva del lavoro del pittore, contrassegnata nel suo bilancio dall'alto numero dei visitatori, documentata criticamente dal catalogo Electa (testi di Tullio Seppilli e Mario De Micheli e del sottoscritto) e dalle recensioni dei maggiori quotidiani nonché da un bellissimo servizio televisivo. È una conferma, una consacrazione. Viene poi, nello stesso anno, la mostra tematica di Spilamberto, dedicata al paesaggio: probante dimostrazione della coerenza e della ricchezza di angolazioni del Covili paesaggista, per il quale il tema è presa di possesso del reale, è presenza simbolica, tensione espressionistica. Il paesaggio è, e vive, e si esprime tra sussurri e grida. E c'è il paesaggio della luce diurna, calda e benefica sulle emergenze naturali, c'è il paesaggio notturno dalla luce stellare. I "notturni" di Covili hanno la suggestione delle ombre e la magia dei riflessi che bagnano alberi ed erbe, pietre e casolari.
Gli anni che passano non intaccano l'operosità del pittore, non incidono sulla sua forza creativa, che non esita a misurarsi con nuove sollecitazioni. E viene (1994) il tempo della sorprendente serie dedicata a Francesco, il santo, il ribelle, il poeta delle creature. Nasce, questa serie, da un'ora che è stata, nella vita di Gino Covili, di angoscia profonda, allorché il padre si trovò a trepidare per la vita del primogenito. Eppure in tanta trepidazione permaneva, segreto e operante, un filo di speranza... Come adempiendo a un voto, Covili esegue in un'urgenza febbrile eppure consapevole disegni e dipinti, fedele al suo linguaggio ma insieme attentissimo all'insegnamento, che va studiando, di Francesco. Sull'esito di questo lavoro illuminanti riescono le parole di Giulio Mancini (Assisi, La Porziuncola, 26 agosto 1994): "Il risultato non è di cosa istintiva e visionaria da primitivo. Dopo il primo barbaglio di intuizione, si percepisce che Covili ha visitato a lungo Francesco, ne ha frequentato i sentieri segreti, ne ha cercato l'anima. Un lavoro a livello profondo, nel pudore di una discrezione gelosa. Si è documentato passo per passo, fonte su fonte". E più avanti: "Il suo espressionismo ... è invasato come sempre dall'ardore che dentro lo preme. E, come sempre, nulla che sfugga alla carica interiore che lo sommuove, fino a che la piena che lo inonda non s'acquieti in raggiunta e grande unità formale".
Omaggio a Nelson Mandela. Gino Covili con Giancarlo Giannini, Padre Gualtiero Bellucci, Umberto Pagliacci, Frank Casale, in occasione della mostra alla Rocca Paolina - Perugia, 1990
Gino Covili con Guglielmo Zucconi, Padre Berardo Rossi e Mario De Micheli per la presentazione del volume "Francesco" - Milano, 1994
Covili, dunque, è entrato nella stagione della terza età con il fervore, con la felicità espressiva di un artista che non ha paura di rinnovarsi, di mettersi alla prova sfidando nuovi obiettivi, cercando incogniti orizzonti. Viene alla luce, in tutta la sua singolarità, il fenomeno della "memoria visiva", in grazia della quale gli è dato di recuperare, e render vivo, a distanza di lustri e decenni, il paesaggio della sua terra, del suo paese, con la sua gente, i suoi usi e costumi. L'operazione è tuttora in corso e durerà ancora. Sono disegni sulla Pavullo di cinquanta, sessant'anni or sono, e più ancora, miracolosamente ritrovati sono vicoli e case, capanne e botteghe. Quel mondo che più non esiste, che più nessuno ricorda, sta risorgendo dal passato in virtù della memoria, dell'ansia, della passione di un artista che muove alla ricerca del tempo perduto, il tempo che fu della sua infanzia, della sua adolescenza, del suo aprirsi al mondo, del suo scoprire le cose e le ragioni delle cose. Tutto questo lavoro, nutrito di nostalgia e di passione, non mancherà di dare i suoi frutti. E più avanti lo verificheremo, e nel modo più persuasivo.
Covili, lo abbiamo veduto, ama le imprese cicliche, le serie pittoriche e grafiche che, scelto un tema, gli consentono di esplorarlo, di variarlo, mutando di volta in volta il punto di vista, l'impaginazione, i personaggi. Nuovissimo tema è quello dell'Ultimo eroe, un corpus di pitture che si ricollega al passato ma introduce elementi di novità. All'interno della produzione di Covili il ciclo annovera i suoi precedenti nei quadri dei Partigiani, dei Cacciatori, dei Combattenti, del Potatore. È il tema dell'uomo solo, che confida nel suo coraggio, che resta fedele alla missione che ha scelto come ragione di vita e bussola dell'agire. L'eroe solitario è figlio dei cavalieri erranti, dei paladini, dei vendicatori; è l'interprete dell'aspirazione a una vita senza macchia e senza paura. Egli non esita a misurarsi con i rischi mortali, al servizio di un'idea, sfidando il male, snidandolo, smascherandolo sotto ogni sua finzione. Le ali dell'aquila reale, che il cavaliere si porta dietro e che gli fanno corona e raggiera, sono il simbolo della sua missione e della nobiltà che la distingue.
Gino Covili con Padre Giulio Mancini, Gianni Raviele, Ivano Miglioli e Cino Tortorella per l'inaugurazione della mostra a San Damiano - Assisi, 1994
Sembra che l'eroe stia per staccarsi da terra, emulo del Bellerofonte euripideo, che si levava in cielo sul suo Pegaso per combattere i mostri. Il ciclo dell'Ultimo eroe è stato esposto nel celebre Castello di Vignola, nell'anno 1996, con grande affluenza di pubblico e unanimi consensi. Giunge a maturazione, intanto, la lunga meditazione di Covili sul paese della sua infanzia e adolescenza. Uno splendido volume di Franco Maria Ricci - Il paese ritrovato, 1998 - documenta questo ciclo, che costituisce uno dei momenti più alti, più poetici, della produzione dell'artista. Risorgono, una per una, come per magia, le case scomparse, e riprendono il loro posto, e le strade si ricompongono, i prati si distendono, recuperando la loro verginità. Scritti di padre Berardo Rossi, Giovanni Santini, e dello scrivente accompagnano e commentano le opere. Il ciclo è ospitato permanentemente nel Castello di Montecuccolo, che, per il suo prestigio storico, ne è la sede più degna.
Gino Covili riceve dal Sindaco di Pavullo Ivano Miglioli, il premio "Pinone d'argento", 1995
Gino Covili con Padre Berardo Rossi per l'inaugurazione della mostra all'Antoniano - Bologna, 1995/96
Gino Covili riceve dal Rettore dell'Università di Modena Carlo Cipolli, il premio "Ragno d'oro per l'arte" - Modena, 1997
Gino Covili con il Sindaco di Vignola Gino Quartieri, Gianni Raviele, Attilio Montorsi e Vico Faggi in occasione dell'inaugurazione della mostra "L'ultimo eroe" alla Galleria della Corte - Vignola, 1996
Gino Covili con Padre Berardo Rossi, Vico Faggi, il Sindaco di Pavullo Ivano Miglioli, Franco Maria Ricci e Josip Dujella per la presentazione del ciclo di opere "Il paese ritrovato" - Pavullo (Casa Scarino), 1998
Gino Covili con Graziano Pattuzzi, l'On. Paola Manzini, il Ministro Giorgio Bogi, Vico Faggi e il Sindaco di Pavullo Ivano Miglioli, per l'inaugurazione del ciclo di opere "Il paese ritrovato" - Pavullo (Castello di Montecuccolo), 1998
Nell'anno 2001 Covili interviene in due mostre, a Vignola e a Roma. Nel paese del ciliegio in fiore, ispirandosi al tema della festa locale di primavera, Covili liberamente spazia tra i dati della natura e quelli della tradizione, restituendo nei suoi quadri lo splendore della vegetazione e il senso popolare, antico, della festività. A Roma, nella sede della FAO, dove si svolge la mostra internazionale "L'uomo per la terra", Covili rappresenta il continente europeo, al fianco degli artisti prescelti dagli altri continenti. Nel confronto tra le opere, quelle di Covili spiccano per il loro vigore e per la loro fedeltà al mondo delle campagne.
Gino Covili con Tommaso Paloscia all'inaugurazione della mostra al Castello dei Conti Guidi - Poppi, 2000
Gino Covili con il Direttore Generale della FAO Jacques Diouf in occasione della mostra "L'uomo per la terra" alla FAO - Roma, 2001
Gino Covili con Gianni Raviele
Matura intanto un incontro che avrà effetti e risonanze non comuni. Il maestro della cinematografia mondiale, Vittorio Storaro, tre volte premiato con l'Oscar, decide di dedicare un suo film all'arte del pittore frignanese. Storaro aveva conosciuto l'arte di Covili in occasione della mostra di Luzzara del 1970-1971 e subito ne aveva individuato le caratteristiche: temi, passione, immagini, luci... Ed ecco che l'arte dialoga con l'arte, ed ecco che nasce un film, Le stagioni della vita. Sarà presentato a Venezia nel 2002 nel quadro della 59° Mostra d'Arte Cinematografica, sarà accolto dagli applausi degli addetti ai lavori sia delle arti figurative sia del cinema. Successivamente, nel 2003, l'opera di Storaro viene presentata a Pavullo, dinanzi ai concittadini di Covili, i quali salutano nel film il riconoscimento più autorevole e più motivato al lavoro del pittore. È anche il modo più idoneo di festeggiare, in seno alla sua comunità, l'ottantacinquesimo compleanno di Gino.
Gino Covili con Vittorio Storaro durante le riprese della monografia cinematografica "Le stagioni della vita" - Pavullo, 2002
Gino Covili con Vittorio Storaro alla 59° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica - Venezia, 2002
Gino Covili con il figlio Vladimiro, Giuliano Montaldo e Vittorio Storaro alla presentazione della monografia cinematografica "Le stagioni della vita" - Venezia, 2002
Gino Covili con Vittorio Sgarbi in occasione della presentazione della monografia cinematografica "Le stagioni della vita" - Venezia, 2002
Gino Covili con Paolo Crepet in visita allo studio - Pavullo, 2003
Gino Covili
Matteo e Vladimiro Covili - Roma, 2005
Ma la collaborazione tra Storaro e Covili non si arresta, dà nuovi frutti, e fecondi. Nasce il libro Storaro-Covili. Il segno di un destino (Electa - Aurea - CoviliArte) che fissa l'incontro tra la fotografia di Storaro con la pittura di Covili, nel segno del comune sentimento di luce, colore, immagine, i grandi valori figurativi (e psicologici) che accomunano i due artisti.
Covili fino all'ultimo non cessa di rivolgere i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi ricordi, insomma tutto il suo mondo figurale, per incanalarlo alla rappresentazione di quell'universo - che è realtà e sogno, consapevolezza e memoria - che da sempre è il centro e il fuoco della sua ispirazione.
Muore serenamente a Pavullo nel Frignano il 6 maggio 2005.
A Roma, il 10 maggio 2005, nella sede istituzionale della Camera dei Deputati, nella Sala della Regina, viene presentata in anteprima nazionale la mostra "Storaro-Covili. Il segno di un destino", i quadri di Covili, il film e le fotografie di Storaro, a conferma di una nobile fratellanza artistica, umana, morale.