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Se nella società contemporanea il mistero fosse ancora accettato, direi che l'incontro fra Gino Covili e San Francesco d'Assisi era predisposto, inevitabile. La mattina del 21 gennaio '92 il pittore, indifferente ai valori e ai temi religiosi, scopre improvvisamente il bisogno di pregare per la salvezza del figlio Vladimiro, che dal giorno prima è in coma all'ospedale per un incidente accadutogli sulla strada innevata. E invoca Dio. Non con le parole, che forse ha dimenticato, ma col linguaggio che gli è proprio: grande pittore, primitivo e realista, di contadini, carbonai, pastori, cacciatori, viandanti infreddoliti, pazzi, emarginati, umiliati ed offesi, di uomini dalle mani enormi e di animali con gli occhi indemoniati, per la prima volta disegna e dipinge febbrilmente un crocifisso. E un mese dopo, quando il figlio, uscito dal lungo coma, è dichiarato fuori pericolo, scrive sul dorso del quadro: "Mi hai ascoltato Cristo. Grazie". I disegni e le tavole, eseguiti fra il '92 e il '93, con tecnica mista - olio, tempera, pastello, carboncino, china - che compongono questo libro, sono dunque, o possono essere considerati, un ex voto offerto a San Francesco. Ma a insistere sulla "grazia ricevuta" - o forse soltanto ad accennarvi - si rischia di cadere nell'agiografia e di ricalcare le pie deformazioni che già hanno edulcorato l'immagine del "Poverello di Assisi". Resta, incontrovertibile, la successione dei fatti, libero ognuno di interpretarla come meglio crede: fino a quel giorno, Covili si è disinteressato di tutto ciò che oltrepassa l'orizzonte della sua terra, popolata di creature che sembrano nate solo per soffrire.
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